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Mercoledì 30 luglio si è concluso il Festival City Sound 2014 di Milano, rassegna musicale che da alcune edizioni movimenta le serate estive milanesi. Quest’anno il compito di mettere i sigilli di chiusura ai cancelli dell’Ippodromo del Galoppo di San Siro è lasciato ad uno dei personaggio più autorevoli della scena hiphop mondiale, una voce inequivocabile che ha trasformato in vent’anni di carriera non solo la musica rap della West Coast americana, ma anche gran parte della musica pop che si ascolta oggigiorno. Ora si fa chiamare Snoop Lion, prima ancora Snoopzilla, ma per noi è e rimarrà sempre quel Snoop Doggy Dogg che nel 1993 riuscì a conquistare una copertina di Rolling Stone ancora prima di pubblicare “Doggystyle” il suo album d’esordio, capolavoro assoluto prodotto da quel genio di Dr. Dre, che lo scoprì, lo allontanò dalla criminalità e gli fece firmare un contratto per la sua Death Row Records.
La serata si apre con le esibizioni di Entics e di Mondo Marcio che a fatica riescono a riscaldare il foltissimo ed eterogeneo pubblico milanese rappresentato per lo più da giovani, ma anche da tanti nostalgici quarantenni giunti per rivivere, anche solo per poche ore, il periodo d’oro della musica rap, la The Golden Age of Hip Hop dei primi anni ’90. L’attenzione dei presenti è tutta concentrata per l’arrivo di Snoop che, preceduto dalla sua crew composta da un dj, un batterista, un paio di rapper e dalla mascotte canina Nasty Dogg, raggiunge il centro del palco con tutta la sua personalissima flemma e pacatezza, caratteristiche che da sempre lo contraddistinguono. A stento si riesce ad immaginare che dietro a tanta rilassatezza ci sia invece un’intensa attività artistica che lo vede protagonista anche nelle vesti di produttore discografico, attore, presentatore, allenatore di football e talent scout.
Jeans, felpa, cappello da pescatore, Adidas ed occhiali scuri per nascondere i due occhi truccati dall’effetto della sua immancabile cannabis. Per incitare la folla a lui non servono urla e neppure corse a perdifiato da un lato all’altro del palco. Sono sufficienti un cenno al dj e i primi beat dal sapore giamaicano di canzoni come “Here Comes the King”, che apre il concerto, per far si che il pubblico inizi a saltare e la pioggia smetta di cadere. Da quel momento sino alla fine del suo concerto è un continuo susseguirsi di celebri successi. Una sequenza di canzoni senza interruzione. Lui è imperturbabile, sembra non voler lasciar trasparire alcuna emozione. Eppure si intuisce che sa esattamente cosa fare: lascia che sia la musica a creare la giusta atmosfera. La play list proposta è composta più da brani storici che canzoni recenti: “Tha Shiznit”, “Gin and Juice”, “Lodi Dodi”, “Ain’t No Fun” e l’immancabile “Who Am I (What’s My Name)?”, ma anche “The Next Episode” in versione ”Smoke Weed Everyday” e “Nuthin But a ‘G’” per ricordare gli inizi con Dr. Dre. Tra questi titoli si alternano anche alcuni tra i suoi più celebri successi ottenuti in collaborazione con altrettanti illustri colleghi come “Drop It Like It’s Hot”, “California Gurls” o “Sweat”.
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Sullo sfondo del palco un enorme schermo proietta immagini con belle ragazze succinte, bandiere giamaicane, automobili in stile lowrider e accessori che inneggiano all’uso di marijuana, consumata senza problemi anche durante lo show. D’altra parte cosa vuoi che sia fumarsi uno spinello a Milano dopo che sei riuscito ad accenderlo in un bagno della Casa Bianca?
Particolarmente apprezzato il tributo che ha voluto dedicare con “Hypnotize” e “2 of Amerikaz Most Wanted (Gangsta Party)” rispettivamente interpretate per ricordare gli amici scomparsi, Notorious B.I.G e 2Pac. C’è spazio anche per la personalissima cover di “Jump Around” degli House Of Pain ed anche un omaggio al rock con la leggendaria “I love Rock n Roll” di Joan Jett. Per chiudere “Young, Wild and Free” e un’intramontabile “Jammin” di Bob Marley suonata per accompagnare verso l’uscita gli spettatori.
Solo ottanta minuti di concerto, ma sono bastati a far capire che per dettar legge nella musica hiphop non servono show pirotecnici o dichiarazioni di onnipotenza rilasciate da alcuni suoi colleghi. Musicalità, il giusto flow ed un carisma magnetico bastano a far capire chi è il re della giungla.
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L’articolo è pubblicato anche su musicpost.it
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