James Brown “Live at the Apollo”, ecco cosa c’era prima del funk, del hiphop e dell’house

james-brown-live-at-apollo-1962-659x606

“Live at the Apollo è un disco che ha la capacità di convertirti. Ti spiega cosa c’era prima del funk, del hiphop, dell’house e del R&B. È un punto di partenza…”

«L’Apollo Theater l’ho sempre considerato il grande giudice. Prima che ci arrivi, prima del giorno in cui ti è consentito finalmente il privilegio di salire sul suo palco, sei in libertà vigilata. Non ti sei ancora fatto il mazzo a sufficienza, ma diciamo che ti sei qualificato per un concerto al Grande Apollo. Dopo che ti sei esibito sul suo palco leggendario, dopo che sei sopravvissuto per raccontarlo sei, secondo la mia definizione, rilasciato per buona condotta. Ok a chiamata hai risposto, hai fatto tutto per bene, ora sei libero».

Questo è quello che James Brown ha scritto nella sua biografia per presentare l’Apollo Theater di New York, probabilmente il più famoso club degli Stati Uniti, ed il più noto al mondo, per quanto riguarda gli spettacoli e i concerti soul, jazz, R&B e funk. In parole povere il tempio della musica black. Il nome di questo storico teatro è legato anche ad uno dei più celebri ed importanti dischi live mai pubblicati. Stiamo parlando di Live at the Apollo registrato la sera del 24 ottobre 1962 da una leggenda come James Brown e dal gruppo che lo accompagnava in quel periodo, The Famous Flames, stranamente non accreditato sulla copertina dell’album.

Per quelli come noi che hanno già qualche anno di troppo, il nome di James Brown è ben conosciuto, ma per i più giovani ci sentiamo in obbligo di dire che non c’è artista rap, R&B o pop che non debba qualcosa a lui, sia dal punto di vista musicale, sia da quello dello spettacolo. Doveroso quindi ricordarlo con quello che a tutti gli effetti non è stato il suo primo successo discografico, ma che è senza ombra di dubbio il più significativo.

James Brown, che in quel periodo cavalcava l’onda della sua hit Night Train, non si era ancora guadagnato l’appellativo di The Godfather of Soul e non aveva ancora raggiunto la notorietà di colleghi come Ray Charles o Sam Cooke, ma fu comunque chiamato ad esibirsi per la seconda volta, con una serie di concerti, all’Apollo Theater. Questo perché aveva la riconosciuta abilità di coinvolgere ed esaltare il pubblico con la sua musica, il ritmo e i suoi movimenti come nessun altro cantante sapeva fare. Una caratteristica che lo accompagnerà per tutta la lunghissima carriera, una vera e propria macchina da palcoscenico. Sotto le luci dei riflettori si muoveva e dirigeva la band in modo adrenalinico, riuscendo a trasmettere emozioni e sensazioni uniche. Quella sera salendo sul palco era cosciente di dover dare il meglio di se ancora una volta, più di tante altre occasioni, perché aveva deciso di immortalare lo show per farne un album. Non erano ammessi errori e distrazioni. La registrazione, completamente finanziata dallo stesso Brown, fu eseguita senza interruzioni, senza spazio tra le singole canzoni. Primo per riproporre agli ascoltatori lo stesso entusiasmo vissuto durante lo show, e secondo per evitare la pubblicazione di singoli. Se la gente poteva comprarne dei singoli pezzi, perché non comprare l’album completo?

È Lucas “Fats” Gonder, l’organista della band, ad apre la serata, riscaldando l’atmosfera presentando la set list di quello che da lì a poco avrebbero suonato. Riusciamo ad immaginarci Mr. Dinamite Brown, autorevole e radioso, avvicinarsi al microfono con il suo sorriso sornione, il vestito della festa e la capigliatura perfettamente imbrillantinata, prende possesso del palco e – accolto da ovazioni, mugolii e grida d’eccitazione – dare il via allo spettacolo con I’ll Go Crazy, per poi continuare con Try Me e successivamente con la frenetica Think.

La voce compressa e furibonda accompagnata dai riff delle chitarre e dagli strumenti a fiato riesce senza fatica a catturare l’attenzione del pubblico che allo stacco iniziale di ogni canzone si esalta urlando. Dopo I Don’t Mind, due muniti e mezzo di incondizionato soul con il coro che fa da interlocutore per tutto il brano, si arriva al momento spirituale per eccellenza, dove il nostro Soul Brother Number One, uno dei tanti appellativi che James Brown si è guadagnato, si cosparge il capo di cenere e chiede perdono con un’interpretazione remissiva di Lost Someone, la traccia principale di tutto il disco, che sul vinile è divisa tra lato A e lato B. Sul finale, con un Medley vengono riproposti alcuni successi come Please, Please, Please, You’ve Got the Power e I Love You Yes I Do, mentre la chiusura è affidata alla ritmica blues di Night Train, qui suonata con la stessa andatura di un treno in corsa.

Live at the Apollo è un disco che ha la capacità di convertirti. Ti spiega cosa c’era prima del funk, del hiphop, dell’house e del R&B. È un punto di partenza ed è con questo spirito che lo si deve apprezzare. Il nostro è solo un invito all’ascolto. Spegnete la musica che vi circonda, solo per pochi minuti, per l’esattezza trentadue, il tempo necessario per gustare ed apprezzare questo live e vi assicuriamo che domani qualsiasi altro disco si presenterà con prospettive ed aspettative differenti. Il successo di quel concerto e di quel album, sono la giusta testimonianza di cosa è necessario fare per raggiungere il giusto obbiettivo, semplicemente quello che il pubblico vuole ascoltare. «… hai fatto tutto per bene, ora sei libero».

Questo articolo lo trovate anche su MusicPost.com

……….

Un pensiero su “James Brown “Live at the Apollo”, ecco cosa c’era prima del funk, del hiphop e dell’house

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.