Se un’icona come Prince mette gli occhi su una giovane cantante emergente, può voler dire solo due cose: o la ragazza è una gran bella ragazza oppure è una gran brava artista. Per quanto riguarda Janelle Monáe, portavoce femminile della nuova generazione della musica black, la risposta è una sola e contiene le due possibili varianti. Bella ed elegantissima con quel suo aspetto da pin-up da copertina anni ’60 e straordinaria interprete, capace di racchiudere nella sua musica sia l’r&b che il soul più energico. Conosciamo bene Prince. Non è il tipo che si concede facilmente a duetti, soprattutto su dischi altrui. Se l’ha fatto, e in passato pochissimi artisti hanno avuto questo onore -una su tutte, Madonna- vuol proprio significare che Janelle Monáe merita una certa considerazione.
Il titolo di questo nuovo album, The Electric Lady, si adatta perfettamente a lei. L’avete mai vista esibirsi dal vivo? No? Peccato. I suoi movimenti nervosi, quasi spasmodici; il suo modo di presentarsi davanti al pubblico con guizzi incontrollabili; e la voce squillante e acuta danno la netta sensazione che la carica elettrica delle batterie di Janelle Monáe è al massimo livello e che la loro durata è garantita a lungo.
Sappiamo bene quanto possa essere gravoso e stressante per un’artista il concepimento di una seconda opera, soprattutto nella situazione in cui il primo album abbia ricevuto consensi critici unanimemente positivi, come il suo The ArchAndroid (2010). Nel disco non si rimproverano questi timori, anzi Janelle Monáe sfrutta ancora nel modo migliore tutte le sue qualità per modellare suoni e parole, riuscendo così nella produzione di canzoni e melodie incantevoli. Si percepisce una certa continuità con il precedente disco. Sono ancora presenti quelle immagini oldies, che probabilmente la rendono ancora un po’ troppo sofisticata al grande pubblico, e ci sono ancora i Suite Overture strumentali che, con l’aggiunta di alcuni interlude annunciati con la voce dell’irreale DJ Crash Crash, permettono al pubblico di riprendere fiato durante il frenetico succedersi delle canzoni, rendendo così l’ascolto dell’intero album quasi come la partecipazione ad uno show radiofonico.
Ed è proprio con Suite IV Electric Overture, intro dalle sonorità west, che Janelle Monáe ci invita a duellare con il suo disco, senza esclusioni di colpi. Si inizia con il rock funky di Givin Em What You Love, il brano cantato con la special guest Prince, facilmente riconoscibile per il suo falsetto e per il suo tocco di chitarra, con la quale conduce la canzone e le strofe e la stessa Janelle Monáe verso un finale fatto di archi che ricordano molto una “pioggia viola”. Ma questo è solo l’ottimo inizio. La scossa elettrica deve ancora arrivare.
Si continua con Q.U.E.E.N, il primo singolo estratto, dove la soul singer si accompagna con Erykah Badu, un’altra importante voce della musica black americana. Il dialogo tra le due scorre su suoni rock sintetici per poi sfociare in un rap finale che, senza pause, apre le porte alla title track cantata con la giovane e promettente Solange Knowles. Cognome già sentito? Si, è la sorella di Beyoncé. Altro interessantissimo featuring è quello con Miguel per Primetime, una ballata che diventa un classico già dopo il primo ascolto, forse per quel simple preso da Where Is My Mind (1988) dei Pixies o forse per quella chitarra che a nostro parere suona proprio come la suonerebbe Prince. Chiudiamo il discorso duetti nominando anche quello con Esperanza Spalding per l’angelica Dorothy Dandridge Eyes, brano dalle sfumature ambient e jazz dedicata alla prima donna afro-americana ad essere nominata per un Academy Award.
Non spaventatevi. Nel disco non ci sono solo canti a due voci. La presenza di artisti come Prince o Erykah Badu non oscura affatto la personalità forte di Janelle Monáe, che mantiene la sua posizione di leader per l’intero disco come in Dance Apocalyptic, dove con un arcobaleno di suoni e ritmi dance rock’n’roll anni ’70 riesce a contrastare l’apocalisse annunciata nelle liriche della canzone. Altro esempio è What an Experience dove, oltre al peso degli anni ’80 che fortunatamente non riusciremo mai a scrollarci di dosso, riesce ad inserire anche un richiamo al reggae. Un ulteriore salto nel passato, questa volta per ritrovarsi protagonisti in un film in bianco e nero anni ’60, lo si fa ascoltando l’esotica Look Into My Eyes, per poi ritornare ai giorni nostri con le melodie pop sinfoniche di Can’t Live Without Your Love e We Were Rock & Roll. Un viaggio cosmico dai sapori rock invece per Sally Ride, canzone che omaggia la prima astronauta degli Stati Uniti, mentre per Ghetto Woman, brano dedicato alla madre, Janelle Monáe sceglie nuovamente il funk e il rap, questa volta ancora più veloci e taglienti.
Ce n’è per tutti. La ragazza non molla mai la presa. Sempre in prima linea, in ogni canzone parte di questo disco. Si percepisce l’energia sprigionata da questa Lady che alla lunga si è distinta come una raffinata e ricercata artista in grado di creare uno dei suoni più freschi e meno sgradevoli degli ultimi tempi. È musica davvero elettrizzante, piena di sussulti creativi: ben fatta, professionale e al tempo stesso vigorosa e incalzante, dove funk, pop, jazz, reggae, swing e rock si mescolano e aggrediscono il soul di Janelle Monáe per un album che a tutti gli effetti è affascinante a tal punto che si ha quasi un timore reverenziale nei suoi confronti. Ma Janelle Monáe non è affatto una persona indifferente o autoritaria e non ci è parsa neppure così “cyborg” come in tanti la descrivono. Bisogna solo imparare ad ascoltarla.
Il duetto con Madonna, se non erro, e’ stato registrato separato, i due forse non si sono mai incontrati in studio!!!
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Possibile. “Love Song” il duetto di Madonna e Prince si trova nell’album “Like A Prayer”. La canzone inizialmente doveva intitolarsi “Daisy Miller” e si era organizzato tutto per evitare commenti riguardo una loro probabile relazione sentimentale.
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