“Yeezus” – Kanye West (2013)
“Le regole le detto io”
Ascoltando “Yeezus”, il nuovo album di Kanye West, la prima cosa che ti domandi è: ma questo c’è o ci fa? La più sincera risposta è che Kanye West c’è ed è onnipresente a tal punto da imporre legge nel mondo della musica. Se ad inizio carriera lo si poteva inquadrare come un cantante “hip-hop”, adesso classificarlo diventa difficile. Non esiste un termine univoco per descrivere quello che suona. Occorrerebbe inventarne uno che rappresenti una naturale combinazione dei generi, dal rap all’elettronica, dalla techno al rock.
Per alcuni artisti, e Kanye West è uno di questi, raggiungere alti livelli di notorietà e rispetto significa poter realizzare quello che si vuole senza limiti o condizionamenti imposti. Questa indipendenza però non sempre si concretizza nella realizzazione di un capolavoro. A volte, il fatto di essere cosi “avanti” ti ricompensa con un buon piazzamento sul podio, ma non con il gradino più alto, specialmente se l’album viene confrontato con quelli realizzati precedentemente. Pensando a The College Dropout (2004) oppure a Late Registration (2005), i suoi primi album, ritrovo sì la stessa voglia di innovazione musicale, la stessa voglia di osare, ma con la differenza che in quei dischi tutto era costruito su base nazional popolare, alla portata di chiunque. Yeezus non ha queste caratteristiche: è un ottimo lavoro, ma va preso come una cosa a sé stante proprio per la sua diversità.
Potente, aggressivo, esplosivo sin dalle prime note, Yeezus vede collaborazioni importanti come quelle di Lupe Fiasco, Daft Punk, No I.D., e di giovani dj come Hudson Mohawke e Gesaffelstein che arrivano dall’ambiente techno. Troviamo poi quelle con Justin Vernon, Kid Cudi e Frank Ocean, la cui voce si può sentire sul finire della sorprendente New Slaves, uno dei brani più rappresentativi del disco. La realizzazione di un progetto così ambizioso non deve essere stata cosa semplice. Forse è per questo motivo che Kanye West ha chiesto consiglio ad un altro genio della musica, Rick Rubin. Che è stato interpellato, a lavori in corso, per dare una struttura definitiva all’album. Il risultato ottenuto conta dieci canzoni racchiuse in poco più di 40 minuti. Sembra volutamente fatto per essere suddiviso su un lato A ed un lato B di un vinile. Suoni gradevolmente assordanti e quasi allucinogeni sono presenti nella maggior parte delle canzoni, spesso spezzati da cori, urla, ansimi o addirittura da voci di bambini come avviene nell’iniziale On Sight. Ma c’è dell’altro. In Black Skinhead e New Slaves i suoni sono più rock e cupi, mentre in I Am A God il messaggio autocelebrativo di un artista che afferma di essere un dio della musica è scandito su una base industrial ed house. Justin Vernon firma, con le sue influenze reggae, le strofe di I’m in it. Poteva mancare auto-tune? Sinceramente non ne sentivamo la mancanza. Kanye West Aveva già costruito l’intero 808s & Heartbreak (2008) con questo vocalizzatore, qui ripreso ed utilizzato in Blood on the Leaves e in Guilt Trip, dove torna a collaborare con Kid Cudi.
Rischiosa anche la scelta del modo di presentare il progetto Yeezus. Copertina sterile senza immagini, e come uniche iniziative di merchandising quelle di proiettare in anteprima New Slaves sui muri di alcune città sparse per il mondo e un’esibizione al Saturday Night Live. Nulla a che vedere, per esempio, con le anticipazioni mediatiche di RAM dei Daft Punk.
“Yeezus” non è in assoluto quello che possiamo definire un masterpiece. É comunque un’opera temeraria, attraente e acuta, firmata da un personaggio che ha già contrassegnato indelebilmente la storia dell’Hip Hop.
Simone Cazzaniga